Roberta Rondini
La lettura suscita un po’ di sconcerto all’inizio, qualche sorriso, ma soprattutto è un’immersione graduale, ruvida e senza sconti nella cupa realtà contemporanea americana.
Mi ha preso un’associazione immediata e temeraria (irriverente?) con alcune scrittrici inglesi dell’ottocento, per es. le sorelle Bronte e Jane Austen, per l'acume nell’analisi del mondo di riferimento, intriso, il loro, da grandi scenari naturali e da piccole e per noi anguste convenzioni, usata come grimaldello verso l’autoaffermazione femminile.
Per Catherine Lacey ovviamente è diverso, la libertà e l’autonomia sociale e letteraria, ormai raggiunte, servono a convogliare energie e strali verso una critica della società americana, in apparenza democratica e caritatevole, nella realtà scandalosamente classista e feroce nel suo razzismo ancorché ammantato da pietà religiosa.
Mentre per quel che vedo la fede in un Dio …. Serve solo a legittimare la crudeltà (138)
Tutte, comunque, sono accomunate dallo stesso piglio e dalla stessa passione; dalla pagina scritta traggono lucidità e letterariamente leggono il mondo, il primo, limitato, quasi piccolo, ristretto e talvolta angusto, l’altro, il nostro, planetario, pluricondiviso e totalmente globalizzato.
In ”A me puoi dirlo” l’amarezza e il disincanto sembrano senza ritorno, ancora più amari se si pensa che l’autrice è poco più che trentenne e già così disillusa e scettica sulle cose del mondo, mai compassionevole, lucida ma tenera quando serve.
Si tratta di una riflessione umanissima sul tema del diverso, nella sua autenticità essenziale, senza sesso, etnia o colore, solo una persona umana:
Una madre dovevo averla avuta, ma sapevo anche che non ce l’avevo. Non ero né figlio né figlia di nessuno. Che libertà e che condanna questa, non avere una casa a cui tornare... Mi mancavano certe cose che lui a quanto pare riteneva indispensabili… Un passato, un ricordo del mio passato, un’origine ... il tempo non bastava a ricordare tutto. Ogni momento accade una volta sola, ma spesso per registrarlo, per capirlo, ci vuole molto più di un momento. (35)
Quasi un marziano senza corpo in visita sulla terra, alla scoperta delle perversioni, debolezze, fragilità e crudeltà dell’umano:
Chiusi gli occhi e immaginai un’esistenza in cui si vedevano solo i nostri pensieri e le nostre intenzioni, dove i nostri corpi non erano fatti di carne… In qualche modo i nostri corpi non ci avrebbero ostacolato come fanno qui. (81)
Un tempo inespresso, leggero e pesante insieme, dove le categorie, i bisogni, le pulsioni si spalmano e si stemperano in una dimensione che non lascia spazio a libertà di scelta, rendendo impossibile qualunque godimento o leggera serenità nel presente.
Non so com’è che le cose hanno preso questa piega. È come se il tempo fosse altrove e quello che mi circonda non fosse il presente, bensì il futuro, un futuro possibile, mentre il presente è confinato in qualche posto… Questo corpo mi pesa addosso, mi porta in giro, ma non sembra appartenermi, e anche se io potessi vedere i miei occhi non li riconoscerei (13)
Bisogna prendere la misura con il tema e con la scrittura ma poi la lettura decolla, talvolta commuove, sempre stupisce. Ed è un rincorrere di situazioni e persone che, ad un tratto delineate, con abilità, disvelano il loro mistero, le loro debolezze, i loro patimenti.
Ma è normale cercare i morti nei volti dei più giovani. Il problema è quando perdi qualcuno che è ancora vivo
E poi, l’America, come si dice in gergo un piccolo e non imparziale affresco: il grande tema del conformismo americano, i vizi e le virtù, il controllo sociale, il razzismo serpeggiante sempre, il pietismo sociale paravento di un classismo feroce di una certa middle class, la religione come panacea delle proprie contraddizioni; il tutto in una cornice distopica, rasente la fantascienza, con famiglie indivisibili, ipocritamente unite ma spaccate all’interno e distrutte dentro nella sostanza.
Mi sembra che se tengo la televisione accesa tutto il giorno non può succedere niente di brutto, mi capite? (143)
Lacey con perizia mescola al dialogo tra i personaggi e al dialogo interiore del protagonista osservazioni apparentemente casuali sulla realtà circostante, sempre con grande rispetto e interesse verso gli animali e il contesto naturale, mostrando un grande e distaccato spirito di osservazione e di analisi.
Emergono palpabili una visione dolorosa della vita e della gente, un impulso a scavare nell’infelicità e nell’annientamento individuale causato da vicende personali o sociali, un senso di morte incombente e diffuso, un pessimismo, infine, quasi senza speranza, accomunato ad una interpretazione pirandelliana della realtà: la verità, le verità sono tutte suscettibili di interpretazione poiché ciascuno le vede e le vive a suo modo.
“Per farci accettare dalla comunità”. È l’unica cosa che conta qui: essere accettati dalla comunità. È l’unica cosa che ci sta a cuore (107)
Io non dormo mai, aggiunse Hilda… Lo sentono tutti questo fremito animale di solitudine dopo essersi spogliati? ---- Eppure io dovevo averne cura come un dono sincero, come se tutto sommato ne fosse valsa la pena. (83)
Panca, la persona protagonista, non è senza voce o non sa usarla, semplicemente non vuole o non ritiene utile parlare. Lo fa soltanto in tre occasioni, con poche sillabe rivolte a tre personaggi, i più diversi tra i diversi del romanzo, quelli con i quali evidentemente è emersa l’empatia.
Avrei voluto saper fare un verso come un insetto (115). Vorrei che tutti sapessero parlare in quel modo, una sola parola, niente lingue (116).
Una chiave di scrittura personalissima e accattivante, molto è lasciato al dialogo ma l’io autoriale, in un perenne dialogo con sé stesso, esprime qui e là il suo lacerante disincanto, con una attenzione partecipata solo apparentemente dalla realtà e dalla sua metafisica.
Non so come diventerà da grande Catherine Lacey, ci sono già grandi premesse.
La lettura suscita un po’ di sconcerto all’inizio, qualche sorriso, ma soprattutto è un’immersione graduale, ruvida e senza sconti nella cupa realtà contemporanea americana.
Mi ha preso un’associazione immediata e temeraria (irriverente?) con alcune scrittrici inglesi dell’ottocento, per es. le sorelle Bronte e Jane Austen, per l'acume nell’analisi del mondo di riferimento, intriso, il loro, da grandi scenari naturali e da piccole e per noi anguste convenzioni, usata come grimaldello verso l’autoaffermazione femminile.
Per Catherine Lacey ovviamente è diverso, la libertà e l’autonomia sociale e letteraria, ormai raggiunte, servono a convogliare energie e strali verso una critica della società americana, in apparenza democratica e caritatevole, nella realtà scandalosamente classista e feroce nel suo razzismo ancorché ammantato da pietà religiosa.
Mentre per quel che vedo la fede in un Dio …. Serve solo a legittimare la crudeltà (138)
Tutte, comunque, sono accomunate dallo stesso piglio e dalla stessa passione; dalla pagina scritta traggono lucidità e letterariamente leggono il mondo, il primo, limitato, quasi piccolo, ristretto e talvolta angusto, l’altro, il nostro, planetario, pluricondiviso e totalmente globalizzato.
In ”A me puoi dirlo” l’amarezza e il disincanto sembrano senza ritorno, ancora più amari se si pensa che l’autrice è poco più che trentenne e già così disillusa e scettica sulle cose del mondo, mai compassionevole, lucida ma tenera quando serve.
Si tratta di una riflessione umanissima sul tema del diverso, nella sua autenticità essenziale, senza sesso, etnia o colore, solo una persona umana:
Una madre dovevo averla avuta, ma sapevo anche che non ce l’avevo. Non ero né figlio né figlia di nessuno. Che libertà e che condanna questa, non avere una casa a cui tornare... Mi mancavano certe cose che lui a quanto pare riteneva indispensabili… Un passato, un ricordo del mio passato, un’origine ... il tempo non bastava a ricordare tutto. Ogni momento accade una volta sola, ma spesso per registrarlo, per capirlo, ci vuole molto più di un momento. (35)
Quasi un marziano senza corpo in visita sulla terra, alla scoperta delle perversioni, debolezze, fragilità e crudeltà dell’umano:
Chiusi gli occhi e immaginai un’esistenza in cui si vedevano solo i nostri pensieri e le nostre intenzioni, dove i nostri corpi non erano fatti di carne… In qualche modo i nostri corpi non ci avrebbero ostacolato come fanno qui. (81)
Un tempo inespresso, leggero e pesante insieme, dove le categorie, i bisogni, le pulsioni si spalmano e si stemperano in una dimensione che non lascia spazio a libertà di scelta, rendendo impossibile qualunque godimento o leggera serenità nel presente.
Non so com’è che le cose hanno preso questa piega. È come se il tempo fosse altrove e quello che mi circonda non fosse il presente, bensì il futuro, un futuro possibile, mentre il presente è confinato in qualche posto… Questo corpo mi pesa addosso, mi porta in giro, ma non sembra appartenermi, e anche se io potessi vedere i miei occhi non li riconoscerei (13)
Bisogna prendere la misura con il tema e con la scrittura ma poi la lettura decolla, talvolta commuove, sempre stupisce. Ed è un rincorrere di situazioni e persone che, ad un tratto delineate, con abilità, disvelano il loro mistero, le loro debolezze, i loro patimenti.
Ma è normale cercare i morti nei volti dei più giovani. Il problema è quando perdi qualcuno che è ancora vivo
E poi, l’America, come si dice in gergo un piccolo e non imparziale affresco: il grande tema del conformismo americano, i vizi e le virtù, il controllo sociale, il razzismo serpeggiante sempre, il pietismo sociale paravento di un classismo feroce di una certa middle class, la religione come panacea delle proprie contraddizioni; il tutto in una cornice distopica, rasente la fantascienza, con famiglie indivisibili, ipocritamente unite ma spaccate all’interno e distrutte dentro nella sostanza.
Mi sembra che se tengo la televisione accesa tutto il giorno non può succedere niente di brutto, mi capite? (143)
Lacey con perizia mescola al dialogo tra i personaggi e al dialogo interiore del protagonista osservazioni apparentemente casuali sulla realtà circostante, sempre con grande rispetto e interesse verso gli animali e il contesto naturale, mostrando un grande e distaccato spirito di osservazione e di analisi.
Emergono palpabili una visione dolorosa della vita e della gente, un impulso a scavare nell’infelicità e nell’annientamento individuale causato da vicende personali o sociali, un senso di morte incombente e diffuso, un pessimismo, infine, quasi senza speranza, accomunato ad una interpretazione pirandelliana della realtà: la verità, le verità sono tutte suscettibili di interpretazione poiché ciascuno le vede e le vive a suo modo.
“Per farci accettare dalla comunità”. È l’unica cosa che conta qui: essere accettati dalla comunità. È l’unica cosa che ci sta a cuore (107)
Io non dormo mai, aggiunse Hilda… Lo sentono tutti questo fremito animale di solitudine dopo essersi spogliati? ---- Eppure io dovevo averne cura come un dono sincero, come se tutto sommato ne fosse valsa la pena. (83)
Panca, la persona protagonista, non è senza voce o non sa usarla, semplicemente non vuole o non ritiene utile parlare. Lo fa soltanto in tre occasioni, con poche sillabe rivolte a tre personaggi, i più diversi tra i diversi del romanzo, quelli con i quali evidentemente è emersa l’empatia.
Avrei voluto saper fare un verso come un insetto (115). Vorrei che tutti sapessero parlare in quel modo, una sola parola, niente lingue (116).
Una chiave di scrittura personalissima e accattivante, molto è lasciato al dialogo ma l’io autoriale, in un perenne dialogo con sé stesso, esprime qui e là il suo lacerante disincanto, con una attenzione partecipata solo apparentemente dalla realtà e dalla sua metafisica.
Non so come diventerà da grande Catherine Lacey, ci sono già grandi premesse.