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L'estinzione dell'Italia. Una cronaca.

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Estinzione del passato, dell’Italia.
Una chiesa medioevale del centro Italia. 1200 circa.
Affreschi più tardi, di scuola umbra, fra Quattrocento e Cinquecento.
Nella figura in una foto degli anni Ottanta.
Cristo al Sepolcro fra S. Antonio, S. Leonardo e S. Benedetto da Norcia.
Dopo mezzo millennio, nonostante le incurie e il menefreghismo, erano ancora visibili.


Ecco gli stessi affreschi oggi.
Trafugati, svaniti, annientati.
Il tetto della chiesa ha ceduto, l'altare è in macerie, l'acquasantiera è stata estirpata dalla parete, i fregi rubati; l'entrata è ostacolata da un enorme fico selvatico, l'intero vano è invaso da cespi d’erba vetriola.
Il passato svanisce, svanisce il popolo che il passato teneva unito e in vita.


“Devastato il giardino, profanati i calici e gli altari, gli Unni entrarono a cavallo nella biblioteca del monastero e lacerarono i libri incomprensibili, li oltraggiarono e li dettero alle fiamme, temendo forse che le pagine accogliessero bestemmie contro il loro dio, che era una scimitarra di ferro”.


Fronte della chiesa.
Ogni epoca ha i propri Unni.
“Vennero gli invisibili uomini bianchi e distribuirono la morte da lontano”.
Il terrore dei colonizzati africani: la morte da lontano: pistole, fucili, cannoni.
Neanche il valore può qualcosa contro la morte invisibile.
Il capitalismo invisibile: digitale, usuraio, profumato, impalpabile, insondabile.
Il suo centro è in nessun luogo e dappertutto.


L'altare sbriciolato.
“Ma io scorgo un pauroso segno a cui gli occhi dell’uomo bianco son ciechi: anche la sua razza potrà svanire da qui come la mia e non lasciar traccia, salvo sparse rovine e bianche pietre sui morti”.
Ed ecco Walter Kurtz/Brando: "Drop the bomb. Exterminate them all". E Walter Kurtz/Conrad: "Exterminate all the brutes".
Siamo noi i selvaggi.
Siamo messi a morte.


Lettera di Charles Darwin a Charles Lyell, 1859: “In qualche periodo futuro, non molto distante se misurato nei secoli, le razze civilizzate dell'uomo stermineranno e rimpiazzeranno le razze selvagge in ogni parte del mondo … Le razze intellettualmente più deboli vengono [infatti] sterminate …” (The less intellectual races being exterminated)
We, the brutes.


Ultimi residui degli affreschi.
Mi chiedo quale fine faranno l'Italiano e gli Italiani, a cui mi sento ormai estraneo come un Cincinnato voglioso di aratro più che di impegno pubblico.
La fine degli Incas, ridotti a dar nome a una marca di articoli da trekking (quechua)?
O magari quella delle stirpi iraniche (Nissan Qasqai)?
O degli indiani Cherokee (Jeep Grand Cherokee)?
Vanishing people.


Somabulano, capo dei Matabele dello Zimbabwe, chiede cibo per la sua gente.
Il primo magistrato britannico risponde che lui e i suoi possono catturare e mangiare i numerosi cani randagi che scorrazzano nei dintorni; ammesso che riescano a prenderli.
Somabulano ha uno scatto d'orgoglio, risponde: “Voi non potete fare dei Matabele dei cani. Potete anche sterminarli. Ma i figli delle stelle non saranno mai dei cani”.
E invece lo diventarono.
Devastati dalle fatiche e dalle malattie (British South Africa Company), annientati dalla superiorità tecnologica dei fucili inglesi (nella repressione si distinse Baden Powell, futuro fondatore dei boy scout), essi s'incamminarono docili per l'unico sentiero che resta da percorrere a chi ha perso la terra e il sangue e la lingua.
A differenza della feccia nostrana, però, Somabulano possedeva un po' d'orgoglio residuo, certamente patetico, e buono per la poesia postuma.


Retro della chiesa.
Mai avrei immaginato una resa così veloce così umiliante e definitiva, gli stendardi nella polvere, i comandanti che bivaccano nelle tende nemiche.
Inferno, canto trentadue.
Traditori della Patria: Bocca degli Abati, Buoso da Duera, Tesauro Beccaria, Gianni de' Soldanieri, Ganellone e Tebaldello.

"Va via", rispuose, "e ciò che tu vuoi conta;
ma non tacer, se tu di qua entro eschi,
di quel ch’ebbe or così la lingua pronta.

El piange qui l’argento de’ Franceschi:
"Io vidi", potrai dir, "quel da Duera
là dove i peccatori stanno freschi".

Se fossi domandato "Altri chi v’era?",
tu hai dallato quel di Beccheria
di cui segò Fiorenza la gorgiera.

Gianni de’ Soldanier credo che sia
più là con Ganellone e Tebaldello,
ch’aprì Faenza quando si dormia".


Spianate le colline, dissipati i confini, sbriciolati i fianchi delle montagne, oltrepassati i fiumi, resi innocui i marosi dell'oceano, domati il caldo ardente e il gelo che rende secche le membra, ogni uomo - un servo eguale all'altro - si congiunge mano nella mano, nell'estasi dell'ebetudine.


La Storia è finita.
Abbiamo perso.

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